venerdì 14 febbraio 2014

LA SCOMPARSA DI PIERO D’INZEO, “CAVALIERE PERFETTO”


Piero d'Inzeo su Pioneer in Aachen 1961

Photo courtesy showjumpingnostalgia.it

Era nato il 4 marzo 1923. Oltre ai cavalli,  amava tanto  il mare
Di Giulia Iannone


Non si lascia così all’improvviso il compagno di tutta una vita. Se vedo un cavallo che mi piace, a chi lo racconto? Sei riuscito a battermi ancora e non lo dovevi fare perché toccava prima a me; e lo sapevi.”
Così scriveva Piero D’Inzeo  a suo fratello Raimondo con struggente e toccante affetto, non perdonandolo circa tre mesi fa di essersene andato via, lasciandolo da solo in questa vita terrena.
 Battendolo per l’ennesima volta!
Si è addormentato per sempre  anche Piero nella giornata di ieri.
Ora i “fratelli invincibili” ed inseparabili  sono uniti, di nuovo  in cielo, nella costellazione dei Dioscuri che da oggi brilla di più.
 Ufficiale di cavalleria, tecnico, ponderato, precisissimo, puntuale, meticoloso, per non dire perfetto.
Paolo Angioni di lui scrive “ Piero d’Inzeo insegnava in funzione del salto ad ostacoli a tendere il cavallo sulla mano come se fosse una freccia pronta a spiccare il volo spinta dalla corda tesa dall’arco. Provocare l’impulso la volontà di andare in avanti con energia e senza incertezza davanti a qualsivoglia ostacolo, era la sua  grande lezione . Piero d’Inzeo era contenere.”
 Anzi, a Piero  è stata attribuita la definizione di cavaliere perfetto esteticamente “È un giudizio lusinghiero che ho sempre accettato volentieri perché proveniente da persone disinteressate, se non addirittura dai miei avversari. Credo che lo stile, giudicato il più puro ed elegante, me lo abbia inculcato mio padre, complice la mia mania di perfezionismo”. Amante del mare. E’ risaputo che se non fosse stato messo a cavallo da suo padre Costante , di certo si sarebbe dedicato ad andare per mare sulla barca a vela, l’altro grande sentimento espressivo che ben si concilia con l’equitazione.
 L ‘essere cavallo e la tecnica equestre, sono  per Piero parte del  patrimonio genetico, derivato da papà Costante, sottufficiale che fu il suo primo istruttore e che lo mise a cavallo all’età di 10 anni. “Mio padre era sul lavoro molto severo. Pretendeva che si facesse quello che diceva lui, come diceva lui.” Grazie agli insegnamenti paterni, il figlio d’arte inizia a mettere in evidenza tutto il suo talento, tutta il suo potenziale espressivo, tutta la sua qualità interiore che verrà esaltata dalla tecnica e poi dall’incontro con i cavalli con i quali ha fatto binomio durante una carriera eccezionalmente longeva, durata circa un trentennio. 
Sarà Piero , agli occhi del fratello più piccolo Raimondo,  un altro  grande esempio in famiglia da osservare e da tenere in considerazione.
Piero e Raimondo D'Inzeo
Siamo nati e cresciuti in un ambiente che tendeva a valorizzare il cavallo come atleta e quindi dotati di una preoccupazione di dare al cavallo quegli insegnamenti necessari per potersela cavare brillantemente, negli ostacoli e nelle situazioni di maggior tecnicismo. Ho vissuto il tempo più bello dell’equitazione mondiale perché abbiamo avuto la fortuna di montare in quel momento”
Piero D’Inzeo ha preso parte a ben otto Olimpiadi, ottenendo due medaglie d’argento e quattro  di bronzo.  “Ho cominciato nel ' 48 a Londra e ho disputato i miei ultimi Giochi nel ' 76 a Montreal. Quattro anni più tardi avrei potuto raggiungere quota nove a Mosca, dove però il governo vietò la partecipazione olimpica a noi militari per via del boicottaggio». Ai Campionati Europei ha vinto un oro, due argenti ed un bronzo. A parte il podio delle Olimpiadi del 1960, in cui Raimondo vinse l’oro e lui l’argento, Piero ha spesso dichiarato di essere molto legato ad un suo piccolo primato: 4 Gran Premi vinti ad Aachen e sette vinti a Roma”. Nel  record di Aachen è stato recentemente eguagliato, nel 2013 da Nick Skelton.
Impossibile citare ed elencare tutto quello che ha vinto il cavaliere perfetto. Vorrei invece dire che nella sua meravigliosa carriera non ha mai vinto il Campionato del Mondo e l’oro Olimpico.  Parlerei dei Cavalli, compagni di una vita. Ha sempre ricordato uno dei primi, Fior di Rose, il cavallo del tempo di guerra, Pagoro il cavallo da completo coraggioso e volitivo, con cui partecipò   alle olimpiadi di Helsinki, “ un nano” lo definì, alto 1,48 al garrese. Ma ci sono stati Pioneer, Avenger, Uruguay, Fidux, His Excellency, Easter Light, montato sia a Monaco ’72 che a Montreal 1976, Sun Beam, che non è mai stato un numero uno! ...e c’è The Rock un grande grigio irlandese di proprietà della FISE, nato nel 1948, figlio di un purosangue, Water Serpent, e madre figlia di purosangue, Sandyman. 
Piero d'Inzeo su The Rock - CHIO Aachen 1961

Photo courtesy showjumpingnostalgia.it

The Rock, forse il miglior cavallo che mi sia capitato di montare, era  una macchina perfetta con cui avevo stretto una solida alleanza” . Sulla collaborazione e l’impegno dei propri cavalli, il cavaliere italiano ha sempre detto “ quando si trattava di una gara importante, i miei cavalli se ne rendevano conto perfettamente. Percepivano dai miei riflessi che c’era bisogno di impegnarsi e lo facevano. Insisto, l’equitazione è una cosa psicologica più che altro.”
E proprio con The Rock, durante le Olimpiadi di Roma 1960 il talento azzurro fu protagonista di  un recupero prodigioso da una caduta sull’ultimo largo, determinato da una partenza grande. Si tratta di un  magnifico esempio di equilibrio dinamico cavallo-cavaliere. “Non fu un errore” disse Piero qualche anno più tardi “ fu una disavventura recuperata proprio grazie ai principi dell’equitazione naturale”.
Parlando della situazione equestre italiana dei nostri giorni, Piero d’Inzeo è sempre stato molto preciso” Oggi c’è sempre più gente che va a cavallo, la crisi è tecnica. La colpa è probabilmente del denaro. Circolano più soldi, i premi sono sempre maggiori e i facili guadagni sembrano inversamente proporzionali alla voglia di sacrificarsi e di migliorarsi»
Mentre durante una intervista a Piazza di Siena 2010, accanto a George Morris aveva dichiarato “ oggi ci sono in giro cavalli di molto pregio. Si pretende dal cavallo quello che il cavaliere non sa fare, in parole povere. Oggi i percorsi di gara , ideati dagli chef de piste, risentono solo di manualità, i direttori di campo devono essere tecnici e non esteti”
Non ha avuto molti allievi “la mia condizione di atleta in linea fino a tarda età (in gara fin dopo i 65 anni), non mi ha consentito di dedicarmi più di tanto all'insegnamento, che invece è diventato obbligatorio per me alla data - 1976 - in cui ho assunto il comando della Scuola Militare di Passo Corese/Montelibretti.”
Molti o pochi che siano, troviamo imperitura memoria dell’insegnamento di Piero d’Inzeo sui campi di gara di oggi. 
Stefano Scaccabarozzi allievo di Piero D'Inzeo
Possiamo fare un paio di nomi, Stefano Scaccabarozzi, reputato da Lodovico Nava “ uno dei pochi cavalieri che può dirsi erede della dottrina e dei principi, di non sempre facile assimilazione, di un Capo-Scuola e di un personaggio di particolare ed inconfondibile carisma, qual è stato Piero D’Inzeo.” Ed ancora, testimone da anni sui campi di gara internazionali  un nome tra tutti: Natale Chiaudani. Il cavaliere di Tortona, negli anni del  servizio militare, opta per il  corso di allievi ufficiali dell’esercito alla Scuola militare di equitazione a Montelibretti, a due passi da Roma, dove c’era il mitico colonnello Piero D’Inzeo . “C’era da passare un esame, c’era D’Inzeo. All’epoca l’equitazione, il salto ostacoli in particolare, in Italia era una cosa grande, i D’Inzeo erano dei miti, erano la storia, erano tutto. Non mi sembrava vero di avere un D’Inzeo fra i miei maestri”. Chiaudani resta tre anni come sottotenente a Montelibretti. Nel 1981 arriva la svolta. Natale cade in corsa a Tor di Quinto. Si rompe una spalla e va in licenza di convalescenza. Quando torna a Roma, Piero d’Inzeo è andato in pensione. Fu allora che decise di continuare la sua strada da solo.
Natale Chiaudani su Almero 12
Photo courtesy Chiaudani facebook page
Saremo tutti da soli, certo, a livello equestre ora che sia  Piero che  Raimondo ci hanno lasciati per sempre. Ma nessuno muore del tutto se resta vivo il ricordo, l’esempio, l’insegnamento, la tradizione tecnica e culturale che tutti temiamo sia finita e sia volata via, completamente quando ieri si è addormentato anche l’altro testimone dell’Italia equestre che vinceva nel Mondo.





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