Il COACH NON E’ “ATLANTE”!
Arduo il suo compito, ma non può farsi carico di tutto!
Di Giulia Iannone (ispirato dal
columnist “William Micklem”)
Dopo
aver compiuto una delle 7 fatiche di Ercole: la scelta del cavallo giusto per
la carriera del proprio allievo, il Coach dovrà sapersi mettere da parte.
A
lui non spettano le luci della ribalta, per lui il cono d’ombra dal quale
vegliare sul proprio allievo.
In
occasione dell’apertura della stagione agonistica 2013, sembra appropriata una
riflessione in più sulla figura del “coach” come si usa dire in gergo tecnico. L’ispirazione
proviene da un testo di un grande allenatore di fama internazionale, William
Micklem- che ha lavorato presso il Mark Phillips Equestrian Centre di Gleneagles
in Scozia- completista della migliore tradizione e cultura.
William
è, inoltre, un coach di livello
Internazionale, “educational e motivational speaker”, parte della British Horse Society ed è autore
del Manuale Completo di Equitazione, manuale didattico record di incassi e distribuito
in tutto il mondo. E’ stato lo scopritore di Biko, Giltedge e Custom Made,
cavalli da completo, vincitori di 3 medaglie olimpiche con Karen e David
O’Connor., nonché allevatore e addestratore di cavalli da completo, ad esempio,
Mandiba il cavallo olimpico di Karen
O’Connor e High Kingdom il cavallo di Zara Phillips. E’ anche l’inventore della
Micklem Bridle, introdotta ed approvata nella prova di dressage secondo
disposizione FEI.
Tra
le molte pagine che sono state scritte
sulla figura del coach in equitazione, questa è sicuramente una delle più
toccanti, profonde, moderne e didattiche di ampio respiro. Ne ho scelto alcuni estratti per VOI!
“Quanto è famoso il tuo coach? Sei assalito
da timore reverenziale non appena il tuo
coach entra in campo? Il suo curriculum vitae pieno di medaglie d’oro arriva in
campo prima di lui ed aggiunge valore alla lezione? O questa cosa rappresenta
una barriera per imparare? Il tuo coach per te, nella tua mente, potrebbe
essere sempre ad altissimo livello ed essere un “guru”! un guru non è una
divinità, al cui cospetto si inchinano i veri credenti, un guru si definisce
tale per via di una personalità
carismatica e di un modo di pensare “originale” che è in disaccordo con quelli
che si sentono così eccezionali. Questi rari Campioni, tentano di dare a se
stessi valore aggiunto, criticando il resto della realtà tecnica –perfino i
propri studenti-, preannunciando rovina
ed oscurità a meno che non venga seguita la loro via tecnica.
Pretendere non significa
umiliare
Molti di noi
probabilmente hanno visto istruttori far sfoggio di sé dinnanzi al pubblico presente, invece di
prestare massima attenzione ed assistenza ai propri studenti. C’è anche il
coach che deride e denigra i suoi studenti come metodo per mostrare a tutti la
propria superiorità ed il proprio sapere. Alcuni istruttori, che appartengono
alla vecchia scuola equestre, ancora, la fanno franca con questa loro fragorosa
negatività e comunicazione a senso unico. Costoro vengono difesi da quelli che
sostengono che alcune verità spiacevoli dette di tanto in tanto siano
essenziali, che gli allievi moderni sono tutti avvolti nell’ovatta e protetti dalla dura realtà del
mondo agonistico in cui insuccesso e sconfitta sono all’ordine del giorno. Io non
ho paura di essere un coach esigente. Io posso alzare la mia voce con i
migliori tra i miei studenti, ma deve essere una voce alta permeata di
entusiasmo ed incoraggiamento, una voce alzata che indica cosa sia necessario
fare, non quello che essi non dovrebbero fare. Ed io sono un completo
sostenitore di quella filosofia secondo la quale, tu non PUOI esigere molto
senza essere prima di tutto generoso. Non facciamoci delle illusioni, non inganniamo
noi stessi : una costante negatività o una regolare sequenza di insulti non è utile nell’apprendimento ed in gara, qualunque
sia lo sport in cui ci prepariamo. Optiamo per una
strategia opposta, fatta di lavoro positivo per quanto sia possibile, basata
sul dire al tuo studente cosa vuoi da lui e non quello che non dovrebbe fare;
creando la confidenza nell’allievo, elogiando a tempo debito la determinazione.
Si progredisce molto più facilmente con impegno e lavoro positivo rispetto ad
altri metodi di insegnamento. Questo è dimostrato.
Il Rispetto è la
situazione vincente!
Un
coach deve mettere in primo luogo a suo agio il proprio studente e da qui far
nascere un forte legame ed ascendente sull’ego di costui. In questa ricerca
delle priorità vi sarà uno sviluppo ironico della faccenda, se vogliamo. Nel
momento in cui l’allievo prende forza e vigore e sicurezza e consapevolezza
delle proprie capacità, la gloria andrà a riflettersi sulla figura
dell’istruttore. Questa è da definirsi davvero una strategia altamente
vincente.
Perciò
io ho un detto in merito alle priorità:
Gli studenti sono le
cartine di tornasole della nostra abilità equestre. Loro non dipendono da noi;
siamo noi a dipendere da loro! Noi non stiamo facendo loro un favore
“servendoli” , sono loro a farci un favore dandoci l’opportunità di fare il
nostro lavoro di coach. Tuttavia, solo se educhiamo al meglio noi stessi,
allora potremo educare al meglio i nostri studenti. L’insegnamento che dura
tutta la vita è una priorità dell’istruttore.
Questo
riflette i due lati della stessa moneta, tra le mani del coach, e si chiama
rispetto. Da ambo le parti insomma. Pensare che noi siamo dipendenti dei nostri
studenti, esprime il rispetto per ognuno di essi. Lo studio costante da parte
dell’istruttore, della propria materia, manifesta rispetto nei confronti del
proprio allievo. Da questo si evince che vi è un rapporto osmotico tra coach ed
allievo ed è basato sul rispetto.
Il ruolo del coach: Gli
occhi non sono puntati su di lui!
Questo
è il motivo per cui la frase: “ Non tutto riguarda te, istruttore”! è una delle
frasi più pregnanti nella carriera del coach. Potrebbe essere un concetto
spiacevole da accettare per un coach, almeno all’inizio. Potrebbe qualche volta
suonare anche come un insulto, ma se invece si riesce a cogliere nel profondo
la vera essenza di questa frase, ben presto essa entrerà a far parte della vita
del coach in maniera davvero preziosa. Una seconda pelle: un insegnamento che
rende liberi. L’istruttore comprende di
essere libero mentre insegna, nel senso che non deve salire in scena mentre
insegna, dinnanzi ad un pubblico e dinnanzi ai propri allievi. L’istruttore è
allo stesso livello, dirigendo, incoraggiando, spiegando, dimostrando, agevolando,
e la cosa più importante studiando, studiando
l’allievo mentre si allena ed in gara e continuando ad imparare dalla loro
esperienza.
Solo
in questo modo gli allievi impareranno a stare ed a camminare sulle proprie
gambe, e a diventare indipendenti. Cosa può chiedere di più un coach?
La
prova tangibile di quanto sia bravo un coach, non è quanto egli faccia per i
suoi studenti, ma quanto gli studenti facciano per se stessi. E’ un po’ diverso
dal ruolo di un genitore. Il coach non è un GENITORE che incoraggia e consente
al proprio figlio di prendere le proprie decisioni e trovare la propria strada
nella vita. E , come molti padri, William Micklem è fiero ed orgoglioso di
ricordare, che i suoi figli sanno bene cosa significhi “ It is not all about you, Dad”. . .
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